Murunè

Ô regiùr sundrasch! ve la cünta el vos murunè!

gelso
El n’è pö inscì pasat de gènt sura i mé pè:
Centeni e centeni i nans e indrè…
Sciur e puerét, giuen e vecc,
arbusacc cun i zocui e malench cun i lavécc,
muntagnun cun i arlòt e rèdes a piscina, cun giù el margòt.
E suldâ cun i scarpi feradi e cun el magùn,
mandat a fa guèri ‘nde tucc i cantùn.
E ‘na ròscia de crapi fini che sü al Cunvitt i s’è descantàdi
E magari adess i guèrna i nostri giurnadi.
Ma de tüta ‘sta gènt che m’è pasat visin,
poch u nigün i cugnus el me destin.
Incö, a mumenti, el sucèt en rebelòt:
‘ntra vecc che va adasi e rèdes che va debòt,
el gh’è vergün ch’el n’ha minga asè de scarügà:
i völ cugnuss chi che l’è el mé pà.

Stî mustascìn i s’è remàt scià ‘nsem, apröf a la Filanda Valaperta
E ‘ntra rèdes cu elscusàlin e a buca averta,
ià tacat sü en tabelòt e ‘na legenda ‘nde la lingua di sciur,
facc e dicc, ià tracc insema ‘na “Cungrega di Regiur”.
Cum’èla ‘st’angusa de scarügà,
‘indi scrign, indi involt e ‘indi spazacà?
El perché i völ savè
Se sô stüff de stà sü ‘n pè?
Adès ‘sti balòs i sè ‘incurgiüt che so vecc cum’en bacücch e per damm en po’ de unur,
i völ fammsindech di regìur.
Ma l’è ura de mucala
e de ‘ncumincià a cüntala.

Sichè dunca: en sera ‘nde l’ot-cent-sesanta-cinch o giù a rê,
quant ch’el Garibaldi el l’ha mandat indrè.
L’era el Marcu del Toni-balùn
ch’el vigniva a cà dopol’ültem revultùn.
E ‘ndel so fagòt, piacada-piacada,
el gh’era scià ‘na camisa ru-sa, néta de bügada.
E, a la Marieta, la sua murusa,
che regàl èrèl de fach, per fala sua spusa?
L’ha piantat giù tri murunè:
mì ‘n mezz e i otri denans e de-drè.
En s’è stacc nün, cun la nosa föia, a fa nâs la seda per la filanda,
che pö ià duprât per quela festa granda.

La Marita e ‘l Marcu i gà aüt dês rèdes…
Adès, iè i biadech di biadech che me fa a drè,
perchè i völ che staghi amò sü ‘n pé.
Mi adès ‘sta storia l’ò cüntada de piacch,
perché so vecc, bacücch e strâcch.
E stî sü vischi, regiùr sundrasch,
cun i butìcc e cun i fiasch!
Insegnìch ai giuen a cuntentàs
e ai rèdesìn a badentàs.
E, se pasî per Scarpatecc
Regurdives anca de ‘stû pôr vecc!

Pietro Pizzini 1983

Mosè

Mosè Bartesaghi sulle scale della sua casa a Scarpatetti
Mosè Bartesaghi sulle scale della sua casa a Scarpatetti

L’ho conosciuto a Scarpatetti, mitico rione di Sondrio, dove ci si amava e ci si odiava come in una grande famiglia dal grande respiro, dove la legge della solidarietà guidava un po’ tutti, grandi e piccini dove i ragazzi erano orgogliosi di essere segnati come quelli di “Scarpatecc” sempre pronti a farla a sassate con quelli di Gombaro o del Piazzo ma anche capaci di gesti di generosità e di fedeltà alle persone, al lavoro alla natura alla giustizia valori non facili da trovare altrove.
Un rione fatto di memorie dal sapore antico come le montagne, come la polenta taragna, il vino “inferno”, il salame del “por ciun”. La prima volta che l’ho incontrato era seduto fuori di casa con un mandolino in mano, poi l’ho visto in bicicletta, dalle parti di Colda, mentre a piedi con i ragazzi dell’oratorio salivo verso Carnale, a quei tempi luogo per pochi intimi. Contemplare le foto di Mosè Bartesaghi vuol dire riscoprire radici antiche…nelle sue fotografie trovi la sua voglia di vivere il cuore incantato della sua Scarpatetti, ora ritratta poeticamente come paesaggio, come luogo d’incontro di feste religiose e laiche, ora come dolce memoria delle sue persone, giovani e antiche che siano, operai del Fossati o contadine abituate a lavorare a ritmi delle stagioni, bruciate dal sole o imbiancate dal freddo inverno..Mosè Bartesaghi è un vero artista: se non è stato lui ad abitare l’arte, è l’arte che lo ha abitato. Forse con quel nome di “profeta” che si porta dietro da sempre, temeva che qualcuno prima o poi questo mondo antico lo avrebbe rovinato o deturpato o banalizzato, così ce l’ha voluto salvare dalle “acque” dei “vandali moderni” che cancellando o tenendo in poco conto le memorie cancellano il loro passato, vietandosi il futuro.

Don Vittorio Chiari, presentazione del catalogo di fotografie ”Mosè Bartesaghi. Una vita di fotografie” a cura di Antonio Boscacci, 1994 Leggi tutto “Mosè”

Esilde

IL COMUNICATO UFFICIALE
Il premio “Ligari d’argento” è stato quest’anno assegnato a Esilde Della Cagnoletta Boscacci, A deciderlo è stata la giuria – composta dai Sindaci emeriti Primo Buzzetti, Alberto Frizziero e Flaminio Benetti oltre che dal Sindaco Bianca Bianchini – che ha deciso, all’unanimità, di fare propria la segnalazione giunta in Comune che indicava, come meritevole del riconoscimento, non una persona affermata o nota per la sua attività nei più svariati campi bensì una mamma, peraltro conosciutissima non solo nella natia Scarpatetti, che rappresenta per molte persone un punto di riferimento e, soprattutto per i sondriesi di domani, un autentico esempio di vita.

Ecco le note biografiche sulla premiata, scritte dal figlio Antonio Boscacci:

Esilde Della Cagnoletta, nata a Scarpatetti (Sondrio) il 30 luglio 1926.
Suo padre Dino lavorava come operaio alla Falck di Piateda e sua madre Giuseppina al cotonificio Fossati (aveva iniziato a lavorarvi a 12 anni).
Il fatto che la mamma lavorasse e che Esilde fosse la più grande delle femmine, le impedì di continuare gli studi, per dedicarsi alla famiglia e ai cinque fratelli, preparando da mangiare per tutti e facendo i mestieri di casa.
Oltre a questo, il suo lavoro consisteva nell’andare a consegnare i panni, che la zia lavava e stirava come lavoro e a ritirare quelli sporchi.
Gli unici momenti di svago erano la domenica pomeriggio e poche brevi soste tra un lavoro e l’altro.
Ma lei ricorda questo periodo della sua vita come particolarmente felice.
Girare tutta la città con la sua bicicletta e i grandi cesti della biancheria era faticoso, ma anche divertente. Le permetteva tra l’altro di entrare in contatto con tantissime persone, dalla famiglia ricca alla vecchia professoressa che abitava da sola, dal magistrato burbero alla nobildonna tutta trine e merletti, dalla commerciante che le regalava qualche briciola di paste a quella supertirchia «che in dieci anni non mi ha mai dato niente».
Poiché i merletti e la biancheria di seta erano la specialità della zia, a volte le capitava di indossare di nascosto qualche capo (naturalmente prima che la zia lo stirasse) e di fare il confronto con i suoi nell’ampio specchio dell’armadio.
Senza invidia però, perché «anche loro avevano i loro problemi» e «non sono i soldi che fanno la felicità».
Con questa filosofia molto semplice si è sposata, nel 1948, con Carlo Boscacci operaio alla conceria Carini «che uno più bello di lui non c’era in tutta la contrada di Scarpatetti».
In viaggio di nozze sono andati a Roma con il treno.
Scesi a Milano per cambiare treno, mentre andavano in duomo, sono stati derubati del portafoglio con quasi tutti i soldi (gli unici che si sono salvati sono stati quelli che tenevano in una scarpa).
Per fortuna avevano già pagato il biglietto di andata e ritorno.
Hanno visitato Roma a piedi e hanno mangiato tutti i giorni salame e formaggio che si erano portati da Sondrio.
Il primo figlio è nato nei 1949 e gli altri cinque a ruota (tutti in casa).
Esilde è sempre stata capace di far bastare quel poco che c’era e che proveniva dal modesto salario di operaio del marito Carlo.
La casa di Scarpatetti era composta da una piccola cucina, una camera e un corridoio simil-camera.
Il bagno, come si usava, era in comune con le altre famiglie della casa.
Questo, che andava bene per due persone, divenne un po’ strettino per quattro e ancor più stretto per otto.
Il bagno settimanale (sabato pomeriggio) avveniva in una tinozza dentro la quale ci si lavava in ordine di sesso e di età, prima le femmine, poi i maschi e….sempre con la stessa acqua.
E’ sempre stata una sarta molto abile, anche se le sue creazioni erano sempre un po ’ abbondanti «perché bisogna tener conto della crescita».
Con questa massima filosofica, si ricorda ancora in famiglia che una gonna, che fece per la figlia Angela quando aveva 5 anni, le andò comoda ancora quando ne aveva 11.
E il cappotto del figlio Giovanni, ereditato da uno zio, venne rovesciato almeno tre volte.
Oltre ai sei figli Esilde ha anche allevato dodici nipoti.
La sua casa era il luogo ideale per crescere. Tutti i nipoti l’hanno sempre saputo e hanno sempre preferito la casa della nonna alla loro.
La sua casa è sempre aperta per tutti: ci potete incontrare un marocchino (ha un cassettone pieno di fazzoletti, calze, asciugamani ecc.), un frate, un malato di mente, un prete, un tedesco che passa, uno che neppure conosce, uno che è semplicemente stanco, una mamma che la ringrazia, una bambina dell’oratorio che la saluta, 30 barabitt di Arese con il don Chiari, un gruppo di handicappati che mangiano una fetta di torta, il professore famoso che le chiede la ricetta dei pizzoccheri, un povero o un ricco…..e tutti escono da quella cucina con qualcosa in più (anche solo due parole o una semplice fetta di polenta).
Per l’anagrafe ha 80 anni
Ma solo per quella.

www.gazzettadisondrio.it – 22 XII 06