Tra strada e museo: sappiamo riconoscere il valore dell’arte?

Guardatelo: questo video racconta un fatto curioso, gira in rete e finisce anche nella selezione video di repubblica.it. Ecco di che si tratta: una stampa che si può comprare da Ikea a 10 euro viene portata all’interno di un museo olandese e mostrata ai visitatori, che la osservano con interesse, si lanciano in spericolati commenti sulla sua qualità artistica e le assegnano un valore enormemente superiore al valore reale.

Può succedere l’esatto contrario. Nel 2014 forse il più noto e il più amato degli street artist, l’inglese Banksy, mette in vendita a 60 dollari l’una alcune delle proprie opere al Central Park di New York. Alla fine di un’intera giornata mette insieme solo 420 dollari (la prima acquirente compra due quadri “per la stanza dei ragazzi” ottenendo il 50 per cento di sconto). Qui l’articolo e il video del Guardian.
È ancora il Guardian a segnalare che, un anno dopo, il secondo acquirente newyorchese di Banksy (altri due quadri comprati) mette all’asta a Londra i suoi acquisti. Le quotazioni sono di 70mila e di 50mila sterline. “Questo fatto solleva alcune vere domande sulla percezione del valore e della natura dell’arte”, commenta il direttore della casa d’aste.
Un articolo dell’Observer fa il punto sulla faccenda delle quotazioni con un’intervista a Steve Lazarides, gallerista e in precedenza agente di Banksy: quando Bansky comincia, nella Bristol degli anni ‘90, la municipalità non sa ancora riconoscere il valore delle sue opere e la polizia cancella i suoi lavori dai muri. Oggi la città organizza visite alla scoperta di quel che è rimasto. Nel 2000 le tele di Bansky sono in vendita dalle 49.99 alle 129.99 sterline (comprandone due se ne può avere una terza a metà prezzo). Nel 2014 la scultura Submerged Phone Booth viene venduta a oltre 700.000 sterline.

Ovviamente sono innumerevoli le vicende di artisti la cui valorizzazione subisce enormi variazioni nel tempo. Quel che fa Banksy, però, è rilevante perché lui intende mettere in evidenza la componente aleatoria, e puramente situazionale, della percezione del valore: anni prima della trovata di Central Park, nel 2005, Banksy si traveste da pensionato e va ad appendere le proprie opere nei quattro maggiori musei di New York, che se ne accorgono solo il giorno dopo. Qui il video.

Digressione: vi ricordate che da noi fa un discorso del genere, già negli anni Sessanta, Pietro Manzoni? Produce 90 scatole di Merda d’artista da vendersi a peso, ad un prezzo corrispondente a quello di 30 grammi d’oro. Nel 2002 la Tate Gallery ne compra una, la numero 004, pagandola assai più dell’oro. Se volete imbattervi in altre strane opere d’arte, leggete qui.

Ma la mia storia favorita è un’altra ancora, risale al 2008 e riguarda Joshua Bell, un virtuoso del violino di fama internazionale che, in una livida mattina di gennaio, suona Bach per quarantatré minuti in una trafficatissima stazione della metropolitana di Washington. Poche sere prima Bell ha fatto il tutto esaurito con un concerto a Boston. Ma nel caos dei pendolari che si affrettano ad andare in ufficio riesce a mettere insieme solo una manciata di dollari e qualche sguardo distratto. Gene Weingarten è il giornalista che racconta tutto questo sul Washington Post con il bel titolo Pearls before breakfast. E ci si guadagna un premio Pulitzer.

Tutto ciò può suggerire tre cose.
Prima di tutto, converrebbe fare più attenzione al modo in cui i contesti ci influenzano nel riconoscere il valore degli oggetti e dei fenomeni, orientando l’interesse e il rispetto che tendiamo ad attribuirgli. In secondo luogo: nei musei dovremmo considerare le opere per quel che ci sembrano e ci dicono, prima che per dove sono (e se davvero ci piace la stampa di Ikea, evviva: possiamo portarcela a casa con poco). E infine sì, forse sarebbe meglio prestare più attenzione, vedi mai, agli artisti di strada.

Annamaria Testa Nuovo e Utile